H) Le narrazioni della cosa artificiale

Origini del nome

Il termine diamante deriva dal greco adamas (invincibile), e divenne in seguito adamant, demant e, infine, diamante. Riguardo all’etimologia del termine scrive Biringuccio (scienziato senese del 1480-1539): “Per fuoco la sua estrema durezza non si mollifica, nè con ferro alcun tagliar si può, talchè da ogni cosa creata è indomabile“. Gli Arabi lo chiamavano almas, gli Indù uira dal sanscrito vajra (fulmine o diamante) e gli attribuivano l’epiteto di “frammento d’eternità“


Storia di un diamante sfortunato


Nel lontano 1701, uno schiavo che lavorava in una miniera nei pressi del fiume Kistna, trovò uno splendido diamante, uno dei più grandi e belli al mondo; per nascondere il tesoro, il ragazzo si provocò una ferita e lo nascose tra le bende con cui la fasciò per curarla.

Il suo segreto venne scoperto da un marinaio, che uccise il povero schiavo, si impossessò della preziosissima pietra e la vendette per una cifra enorme a un mercante; ma l’uomo non resse al peso del rimorso e si tolse la vita.

La gemma fu acquistata dal duca Filippo II d’Orleans, reggente di Francia durante la minore età di Luigi XV, da qui il nome del diamante, che da allora entrò a far parte dell’immenso patrimonio di proprietà della famiglia reale; durante la Rivoluzione, come è noto, il re e la regina furono ghigliottinati, i familiari condannati a morte o esiliati.


Rubato durante la Rivoluzione, il reggente fu ritrovato da Napoleone, che lo utilizzò per adornare l’elsa della spada; poco dopo fu sconfitto a Waterloo e infine mandato a Sant’Elena.

Oggi il reggente, diamante porta-sfortuna, è conservato a Parigi nel Museo del Louvre.



Ricetta medievale per esser amati


Per essere amati, una “ricetta” medievale prescriveva di prendere un anello d’oro con diamante e portarlo per nove giorni e nove notti sul cuore a contatto con la pelle; il nono dì, all’alba, occorreva incidere nel metallo la parola Scheva e legare tre dei propri capelli a tre dell’amato, recitando “O corpo possa tu amarmi e che il tuo proposito riesca con lo stesso ardore del mio per virtù di Scheva“. Quindi bisogna legare i capelli all’anello e avviluppare il tutto in un pezzetto di seta: lo si porterà appeso al collo per altri sei giorni; nel settimo si libererà l’anello dai capelli e se ne farà dono alla persona amata.


I diamanti in India


In India molte leggende narrano le sue origini remote, ed il suo uso terapeutico e magico si perde lontano, al tempo degli antichi Ari del periodo dei “Veda“, presso i quali era ritenuto il più potente tra i gioielli.

Essi usavano polverizzarlo e cospargerne i neonati, perchè ottenessero protezione e futura fortuna. Ancora oggi il diamante è simbolo dell’India, emblema della realtà assoluta dell’essenza incorruttibile, materializzazione dell’energia del Linga (simbolo dell’Assoluto trascendente senza principio né fine) e della virilità.

Già Plinio e Tolomeo scrivevano dei fiumi diamantiferi dell’India; Marco Polo, nel suo diario di viaggio, racconta dei diamanti di Mutfili, l’odierna Masulipatam (città dell’India nord-orientale): qui la gemma si trovava solitamente al di fuori della roccia che l’aveva prodotta, anche all’aperto, mista a materiali ciottolosi e dendritici, in arenarie e conglomerati, nel prodotto di disfacimento di queste rocce e nei depositi fluviali.




La purificazione del diamante


L’ambivalenza di questa pietra è attestata dalla tradizione indiana che, considerandola nociva se non sottoposta a previa purificazione, prescriveva l’immersione del diamante nel succo di una solanacea e la successiva fumigagione nei vapori prodotti da sterco di vacca bruciato, per sette notti consecutive.

Ma era tanta la fama della malvagità della pietra, che si prestava una nevrotica attenzione affinchè neppure un minuscolo frammento della stessa penetrasse all’interno dell’organismo, per paura di morte improvvisa. Quest’idea della tossicità della gemma dipende, probabilmente, dalla credenza secondo la quale il diamante crescerebbe nella vola di velenose serpi; gli antichi Indù distinguevano un diamante “maturo” (Pakka) espulso dal serpente al momento debito, ed uno “acerbo” (Keccha), identificato col cristallo di rocca.


Alcuni poteri del diamante


Pietra preziosa per eccellenza, vero condensato di poteri magici, il diamante scioglie gli incantesimi, “rammorbidendosi” neutralizza il veleno, rinsavisce i pazzi e dissipa gli incubi, dona il dominio sulle bestie feroci. Rende il portatore ricco, amabile e protetto dall’invidia, favorisce la castità, impedisce la lussuria.

I nobili lo incastonavano nell’impugnatura della spada per esser preservati dai nemici; protegge le donne gravide, aiuta a vincere le cause legali. Essendo odiato dal demonio, lo tiene lontano e con esso spiriti e streghe (con il termine “demonio” si intende non il favoloso personaggio quasi carnevalesco del catechismo, ma la personificazione allegorica del Male); questa virtù gli deriva dalla nota durezza, scambiata dagli antichi per resistenza assoluta contro ogni elemento e quindi anche contro le oscure forze infere.

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